A quante diverse interpretazioni si presta un romanzo? Quali nuovi orizzonti e spunti di riflessione può suggerirci la rilettura di un capolavoro della letteratura? Innumerevoli, si risponderebbe, e a ben ragione.
Si prenda Moby Dick, di Herman Melville. Di quest’opera senza tempo si sono date definizioni, interpretazioni, chiavi di lettura. Il romanzo ha ispirato nuovi romanzi e illustri traduzioni di grandi autori hanno ridato vita alla sete di vendetta del capitano Achab (la prima traduzione italiana è di Cesare Pavese). Il cinema gli ha reso omaggio più volte: l’adattamento più celebre è forse quello del 1956 di John Huston, Moby Dick La balena bianca, con Gregory Peck e Orson Welles.
Di un nuovo modo di sbirciare dentro le pieghe più avventurose dell’animo umano, ci regala un esempio Silvia Lelli Cacaci. Nel suo articolo Moby Dick e il bianco, pubblicato sul sito di Bottega di narrazione, l’autrice rilegge il romanzo americano a partire dalla simbologia del colore, aprendo nuove connessioni anche con la cinematografia.
C’è Achab, in Moby Dick, e le balene, e le baleniere. Ci sono l’equipaggio, i riferimenti letterari, in particolare biblici. E poi – ci dice l’autrice -, c’è la presenza ossessiva del bianco:
“Il bianco è ovunque tra le pagine, se ne parla in continuazione, e al colore bianco di Moby Dick è dedicato un intero capitolo, il quarantaduesimo, intitolato “The Whiteness of Moby Dick” (“La bianchezza della balena”)”.